C’era una volta l’acqua

A marzo 2016 davamo notizia che il Poopò, il secondo lago della Bolivia, era in stato di desertificazione a causa della siccità, così come il Lago d’Aral al confine tra Uzbekistan e Kazakistan, in Asia Centrale, soggetto a sensibili variazioni di volume. Torniamo a parlare proprio del Lago d’Aral, il quarto più grande mare interno del mondo: oggi è quasi del tutto prosciugato da una serie di disastri ambientali antropici iniziati negli anni ’40. Stando alle immagini satellitari della NASA la superficie si è ridotta del 75% negli ultimi 50 anni con una media di 3 metri all’anno.

«Visitando il lago e vedendo che è quasi morto ho provato uno shock tremendo — ha dichiarato il segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite António Manuel de Oliveira Guterres — Questa catastrofe ecologica dimostra che gli uomini possono distruggere il pianeta: la progressiva scomparsa del Lago d’Aral è stata causata non dai cambiamenti climatici ma dalla cattiva gestione delle risorse idriche. Potremmo vedere questo tipo di tragedie moltiplicarsi in tutto il mondo, quindi facciamone una lezione per essere in grado di mobilitare l’intera comunità internazionale».

Per l’attivista uzbeko Yusup Kamalov il Lago d’Aral potrebbe ancora essere salvato dato che «il Kazakistan ci sta riuscendo con discreto successo». Il Governo di Астана ha infatto recuperato la parte settentrionale di sua giurisdizione territoriale erigendo nel 2005 una diga che nel corso di dieci anni ha moltiplicato la varietà del pesce.

L’Uzbekistan aspetta invece di “toccare il fondo” per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio. Per volontà del dittatore Islom Karimov prima e di Shavkat Mirziyoyev ora, a Moynaq resiste solo un laghetto artificiale salmastro, creato ai margini della città, grande come un campo da calcio.

Al momento l’obiettivo più realistico degli ambientalisti locali non è ricreare un lago navigabile ma umidificare quella pianura arida in cui si è trasformato l’Aral per fermare sabbia e polveri contaminate da pesticidi e fertilizzanti che da lì continuano a spargersi in tutta l’Asia Centrale.


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